venerdì 13 novembre 2015

Addio, amata luna!

La comprensione che prende avvio dalla sensibilità, dalla ricettività invece che dall'intenzione semantica e dalla sua eccitata pulsionalità pone le condizioni per fare esperienza dell'intero. Esperienza vuol dire esperienza dell'intero e intero vuol dire ciò di cui si fa esperienza. In questo senso l'intero è concreto, implica cioè l'esperienza che, in quanto pratica, esclude il controllo. Infatti il fenomeno esperito è composto sia da ciò che di esso appare, sia da ciò che di esso si nasconde e tra i due estremi ricomprende infinite sfumature di apparizione. La completezza non è afferrabile in una logica dichiarativa e formale (Goedel). Nella logica dell'esperienza, invece, la completezza è un evento cui si è subordinati, un evento che afferra invece di essere afferrato. L'esperienza dell'intero, ovvero l'intero che fa, che decide dell'esperienza stessa, non è mai un intero tutto in luce perché è qualcosa in cui si sta dentro. L'intero è un interno. Ha lati oscuri, logiche oniriche. I punti sulla superficie della sua sfera sono i tasselli della coscienza. La coscienza è dunque un mosaico di logiche diverse, di diverse ragioni, di infiniti mondi possibili e le sue tessere sono di carne, non di vetro. Il suo è un tessuto di carne che fa presto a diventare macelleria di guerra. Basta illudersi di poter dominare l'intero, di poterne possedere quell'esperienza da cui, piuttosto, siamo posseduti. L'intero ci possiede all'improvviso, ci acciuffa come una sua preda. Per non sentirlo si rinuncia persino alla luna. Questa estetica da terza guerra mondiale trova insopportabile quel suo lato oscuro che amavamo tanto. Vorrebbe che la luna fosse uguale al sole. Ma anche il sole ha le sue macchie.

martedì 20 ottobre 2015

Anime dentate

Forse abbiamo anime dentate come ruote che altrimenti non ingranano con altre ruote ma girano a vuoto per millenni facendosi male.

venerdì 14 agosto 2015

Campo base

Ti ho guardato negli occhi senza vedere occhi, in faccia senza vedere una faccia
Non saprei descriverti ma non potrei non riconoscerti.
Non potrei evitare la ricaduta in quella certa presa del tuo sguardo
che usa la materia come lo scalatore fa col campo base 


mercoledì 29 luglio 2015

L'altro


L'idea del rapporto tra l'individuo e l'ambiente sembra presupporre una linea di confine oltre la quale mentre uno finisce l'altro comincia e viceversa. Tale relazione implicherebbe l’esistenza di un punto-zero da cui avrebbe inizio la differenziazione. Infatti l‘individuo è tale perché svolge di continuo azioni di diversificazione dall’ambiente atte a non dividerlo in sé, a tenerlo unito e uno, altro rispetto al contesto che, a sua volta, relativamente ad esso, rappresenta l’estraneo. Eppure, se uno assume una qualunque posizione riflessiva e cerca di ripiegarsi su di sé, ci riesce davvero? Se torno indietro trovo un qualche nucleo che oppone una resistenza sufficiente a fermarmi, a farmici sbattere contro? Lo trovo il non plus ultra che mi immia? A me pare che ogni torsione riflessiva, se davvero vuole compiersi e non limitarsi a fantasticarsi in atto, deve emanciparsi dal punto-zero, riconoscerne la natura idolatrica. L’estraneo, l’altro non è qualcuno rispetto al quale conquisto la mia medesimezza ed essa non è l’essenza individuale che muove lo spirito. Dentro di me, per esprimermi in violazione dell’idioma che irretendo i concetti può perderne qualcuno in mare aperto, dilaga il fuori, l’ambiente come una nebbia, a volte tossica, a volte deliziosa, a volte perfettamente neutra, matura per accogliere gli aspiranti alla conversione. La nebbia inghiotte ogni individuo che, come naufrago, inutilmente alza la mano oltre il pelo di una visibilità che ormai è solo delirio, deserto testimoniale. Dentro di me c’è solo il fuori. L’aria non manca e medica il mio petto asmatico con questa gita in barca dove soffia, espira ed alita fino alla prossima bonaccia. Allora senza ormeggi l’essere parmenideo ha la sua gloria e nel tempo di una sosta l’individuo dà fiato alla sua essenza come fosse l’inciensiere del tempio.

lunedì 8 giugno 2015

La capacità di coglimento empatico del vissuto altrui consente di capire che ciò che capita ad altri potrebbe capitare anche a sé. Tale capacità rende possibile accorgersi che la condizione per cui un vissuto capiti, perché l'io agisca e dunque sia (esse ut actus), è che si sia fatti in un certo modo, un modo che abbiamo in comune con i nostri consimili rispetto ai quali non possiamo non intuire questo certo modo di essere che abbiamo in comune. La necessità di intuire questo modo comune di essere è analoga alla necessità con cui non sembra possibile evitare di sentire dolore se ci si schiaccia un dito sotto un sasso. Empatizzare sembra quindi ineluttabile quanto sentire, anzi, più ineluttabile del sentire, la sua condizione di possibilità.
L'attività ricettiva diventa un vissuto nel momento in cui la regione vivente in cui essa si verifica vive tale attività. Potrebbe anche non viverla? La membrana cellulare potrebbe ricevere segnali che seppur non diventano un vissuto conscio non possono però non essere del tutto non vissuti. La carne nota la differenza e richiede quei segnali che pur non riconosce del tutto così come il corpo di un non vedente ha bisogno di stare alla luce.

lunedì 20 aprile 2015

Conscio e inconscio

Il mio conscio prende più cose all'inconscio di quanto questo riesca a produrne.
Lo saccheggia senza dargli tregua come un contadino vorace che chiede troppo alla sua terra e non le lascia il tempo di rigenerarsi. Così il mio conscio dimenarmi in azioni cognitive toglie al mio inconscio la sua pace, il suo silenzio, quel giardino in cui sbocciano i simboli. E mi ritrovo a mangiare formule alchemiche invece che ortaggi, a vivere di elementi inodori.

Trovare una mano tesa è una scoperta: potrei anche andarne fiera considerato di aver avuto momenti in cui non sono riuscita neppure a cercarla.
Se sono sospesa nel vuoto come nel film Intrigo internazionale, quella mano terrà solo se sarò leggera oppure mollerà.
Una mano è una scoperta simile a quella di una sponda per chi naviga per mare senza più contare i giorni. La spiaggia baciata dal sole sorride, sì sorride al sole, non a me. La mano è protesa verso chiunque, non ha occhi. Vuoi forse una mano tutta tua? Un altro delirio ossessivo di possesso capace solo di consumare, di strappare i fiori dal prato, incapace di starci dentro, di lasciarsene aromatizzare? La mano che mi strappa al dirupo non mi basta. Non so' che farci con la terra piena sotto i piedi, non sono certa di volerla, di fidarmi della sua tenuta. Ma così, percorrendo vie parallele tra le frasche, nascondendomi nell'ombra rasente i muri come fossi ombra io stessa, come mai incontrerò compagni di viaggio, viaggiatori alla luce del sole invece che clandestini in cravatta?

martedì 10 febbraio 2015

Confessioni - Agostino

Caducità di ogni bene terreno IV, X:

Non si potrà mai avere un discorso se ogni parola dopo aver dato il suo suono non se ne vada per lasciar posto ad un'altra...

Esortazione alla propria anima IV, XI:

il Verbo... grida per invitarti al ritorno: là regna imperturbabile quiete dove l'amore non teme abbandono, se esso stesso non abbandona. Ecco, le cose se ne vanno per lasciar posto ad altre... Alla Verità affida tutto quello che ti è venuto dalla Verità: nulla perderai, spunteranno fiori dal tuo putridume, guariranno i tuoi mali....O traviata, perché segui la carne? Essa invece segua te... Anche quando si parla, ascolti per mezzo di quello stesso senso corporeo, e non vuoi certo che le sillabe si arrestino, ma che volino via una dopo l'altra e tu possa ascoltare tutto il discorso... Ma quanto più perfetto ... non passa, e niente gli succede. (Agost. Confessioni)
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sordo è il fruscio di una cascata di oro liquido