lunedì 8 giugno 2015

La capacità di coglimento empatico del vissuto altrui consente di capire che ciò che capita ad altri potrebbe capitare anche a sé. Tale capacità rende possibile accorgersi che la condizione per cui un vissuto capiti, perché l'io agisca e dunque sia (esse ut actus), è che si sia fatti in un certo modo, un modo che abbiamo in comune con i nostri consimili rispetto ai quali non possiamo non intuire questo certo modo di essere che abbiamo in comune. La necessità di intuire questo modo comune di essere è analoga alla necessità con cui non sembra possibile evitare di sentire dolore se ci si schiaccia un dito sotto un sasso. Empatizzare sembra quindi ineluttabile quanto sentire, anzi, più ineluttabile del sentire, la sua condizione di possibilità.
L'attività ricettiva diventa un vissuto nel momento in cui la regione vivente in cui essa si verifica vive tale attività. Potrebbe anche non viverla? La membrana cellulare potrebbe ricevere segnali che seppur non diventano un vissuto conscio non possono però non essere del tutto non vissuti. La carne nota la differenza e richiede quei segnali che pur non riconosce del tutto così come il corpo di un non vedente ha bisogno di stare alla luce.