mercoledì 29 luglio 2015

L'altro


L'idea del rapporto tra l'individuo e l'ambiente sembra presupporre una linea di confine oltre la quale mentre uno finisce l'altro comincia e viceversa. Tale relazione implicherebbe l’esistenza di un punto-zero da cui avrebbe inizio la differenziazione. Infatti l‘individuo è tale perché svolge di continuo azioni di diversificazione dall’ambiente atte a non dividerlo in sé, a tenerlo unito e uno, altro rispetto al contesto che, a sua volta, relativamente ad esso, rappresenta l’estraneo. Eppure, se uno assume una qualunque posizione riflessiva e cerca di ripiegarsi su di sé, ci riesce davvero? Se torno indietro trovo un qualche nucleo che oppone una resistenza sufficiente a fermarmi, a farmici sbattere contro? Lo trovo il non plus ultra che mi immia? A me pare che ogni torsione riflessiva, se davvero vuole compiersi e non limitarsi a fantasticarsi in atto, deve emanciparsi dal punto-zero, riconoscerne la natura idolatrica. L’estraneo, l’altro non è qualcuno rispetto al quale conquisto la mia medesimezza ed essa non è l’essenza individuale che muove lo spirito. Dentro di me, per esprimermi in violazione dell’idioma che irretendo i concetti può perderne qualcuno in mare aperto, dilaga il fuori, l’ambiente come una nebbia, a volte tossica, a volte deliziosa, a volte perfettamente neutra, matura per accogliere gli aspiranti alla conversione. La nebbia inghiotte ogni individuo che, come naufrago, inutilmente alza la mano oltre il pelo di una visibilità che ormai è solo delirio, deserto testimoniale. Dentro di me c’è solo il fuori. L’aria non manca e medica il mio petto asmatico con questa gita in barca dove soffia, espira ed alita fino alla prossima bonaccia. Allora senza ormeggi l’essere parmenideo ha la sua gloria e nel tempo di una sosta l’individuo dà fiato alla sua essenza come fosse l’inciensiere del tempio.