Arrangiamento della Meditazione
guidata di Mauro Scardovelli
a cura di Silvia Peronaci
Ci sediamo disponendo la colonna in posizione
verticale. Appoggiamo bene i piedi a terra e
scostiamoci dallo schienale. Le prossime istruzioni saranno seguite morbidamente, senza forzare. Prestando attenzione a come ci muoviamo possiamo accorgerci in tempo se un certo movimento sta per farci male e fermarci prima che cominci il dolore. Il dolore è un semaforo rosso che vediamo solo dopo essere andati a sbattere ma se ci muoviamo in modo consapevole trasformiamo noi stessi in una fonte prodigiosa
di piacere e di armonia.
Contraggo pancia e perineo. In modo graduale, delicato, fluido e deciso
risucchio i visceri verso la schiena, li sollevo. Nello stesso istante, stacco i
denti, distendo il viso. Mi fermo e osservo. La colonna è già salita. La
sommità del capo, sede di Sahasrara Chakra, vortice di petali, si protende
verso il cielo. Inspirando portiamo dolcemente le braccia sopra la testa. Le
distendiamo in alto mentre l’aria resta per qualche attimo nei polmoni. Ora le riportiamo giù. Le facciamo scendere lentamente passando ai lati del corpo mentre l’aria lascia i polmoni attraverso il naso. Respiriamo sempre
attraverso il naso. Il mento è parallelo al pavimento. Il capo lievemente arretrato sul
collo. Mandibole e lingua decontratti. Viso disteso, inespressivo, nessuna posa da selfie. Non vogliamo dire niente. Chiudiamo gli occhi fuori per spalancarli sui panorami interni, su quegli scenari dentro di noi dove i cinque sensi si mescolano dando vita ad altri sensi, ad altre sensazioni, ad altri mondi possibili. Se la colonna è verticale c’è un retto sforzo e difficilmente possiamo
addormentarci o intorpidirci. La colonna retta non è un dono naturale che
qualcuno ha la fortuna di avere e qualcun altro no ma è un impegno a tenerla dritta.
È una decisione che prendiamo e riprendiamo di volta in volta. È essere attivi. È
il nostro portamento esistenziale. Questa verticalizzazione è un simbolo: il
rapporto tra la terra e il cielo, l’unione di femminile e maschile, la partecipazione di corpo e
mente. È il simbolo dell’homo sapiens che conquistando la posizione eretta
trova le mani, le dita creatrici. Con questa ricerca posturale noi incarniamo
un simbolo e facciamo un rito: la nostra azione non mira solo allo scopo
utilitaristico di curare il mal di schiena quanto piuttosto a farci fare un’esperienza
armonica, a farci sentire la musica dentro l’atto di esistere. Forse vogliamo esprimere
gratitudine, grazia, gentilezza. Forse ritrovare quell’eleganza naturale che gli
attaccamenti egotici ci hanno fatto perdere. Appoggiamoci dunque bene alla
terra coi piedi, radichiamo il bacino alla sedia ma, contemporaneamente, puntiamo
in alto, in direzione del cielo, dell’infinito, della coscienza infinita. La
coscienza può espandersi fino a comprendere tutto ciò che c’è. Più la coscienza
si eleva, più amplia la sua visione e più la nostra vita è felice. In inglese
felice è happy, da happen, succedere. Felice è chi lascia succedere, chi lascia
che le situazioni cambino, che la fase nuova succeda alla vecchia, imparando
dalla luna. Felice chi non trattiene, non blocca, non si attacca a una
permanenza ingannevole ma è capace di riconoscere quando è il tempo giusto di
lasciare andare. Al contrario, più la coscienza è ristretta, capace di
considerare solo poche cose, paurosamente abbarbicata a ciò che crede di avere, più
la vita è ricca di sofferenze.
Rivediamo i gesti di verticalizzazione: mentre ispiriamo
allunghiamo in alto le curve delle vertebre lombari e cervicali, mentre espiriamo ci
abbandoniamo. Non vogliamo incurvarci, ricadere su noi stessi e chiuderci, ma vogliamo allentare, rilasciare le
contrazioni muscolari mentre il soffio vitale va in risacca e porta l’aria
fuori. Ma quando il vento rimonta dentro di noi spingiamo di nuovo i muscoli
verso l’alto per accogliere la nuova onda d’aria. Ogni muscolo partecipa nell'accrescere il volume del ventre, del torace, di ogni nostra cellula che vuole
ossigeno, che brama vita. All’inizio è un lavoro perché i muscoli si devono
rafforzare, si deve rafforzare l’io che ci governa. Non un irrigidimento ma un
moto di verticalizzazione e un moto di abbandono, un ritmo che alterna spinta
verso l’alto a ritorno a terra, rilasciamento. Colleghiamo così ciò che è
materiale con ciò che è ideale: fratellanza, bellezza, armonia, forza,
gentilezza, empatia. Non è facile. Più facile è buttarsi giù, abbandonarsi alla
via di minore resistenza. La via intrapresa dalla nostra società delle passioni
tristi.
Ma già l’atto di sedersi nel modo che stiamo descrivendo, è
un atto rivoluzionario, una rivolta dello spirito. Rivoluzionario è fare un uso
proprio del cervello, attivare certe zone e inibirne altre. Attiviamo la
testimonianza incondizionata, l’amorevole presenza a se stessi, la
consapevolezza non giudicante e lasciamo andare il controllo che alimenta le
compulsioni, che ne toglie una e ne crea un’altra. Praticare meditazione porta
a trasformare la morfologia del cervello e a farne una struttura che sostiene
la fede nella vita invece che la sfiducia. Non serve farlo una tantum. Se per questo sentiero ci passiamo troppo di rado, le
erbacce lo ricoprono subito. Dobbiamo passarci e ripassarci perché resti aperto.
E così sarà sempre meno automatico imboccare la vecchia via che, nel disuso, si
è riempita di sterpaglie.
Stare seduti: inspiro, ricevo il principio vitale, sorrido;
i muscoli del viso e delle spalle si distendono perché non siamo più arrabbiati
col mondo. Mentre mantengo la posizione in verticale l’inspirazione diventa
piena; il torace si apre, si pone fine
alla tendenza delle spalle di proteggere il cuore, la ferita. Non c’è bisogno
di proteggere niente. Dal momento in cui impariamo a sederci, a
verticalizzarci, a divinizzarci non abbiamo più bisogno di proteggerci. Possiamo
lasciare andare le nostre difese perché non siamo più bambini piccoli. Stare
seduti in questo modo è già diventare genitori di se stessi. Inspirando,
verticalizzandoci, sviluppiamo la consapevolezza di prendere la vita dentro di
noi attraverso un retto sforzo, dunque, naturalmente, ci viene di sorridere. Espirando,
ci affidiamo alla terra, ci abbandoniamo. Rimaniamo in posizione verticale ma
un po’ più morbida. Alla prossima inspirazione c’è un lieve inarcamento
lombare, un distanziamento delle vertebre cervicali, un lieve arretramento
della testa la cui sommità spinge verso il cielo. Durante l’espirazione, c'è la
coscienza che lascio andare, che non mi attacco a nulla, che mi affido; non mi
aggrappo, non devo trattenere l’aria ma rilassarmi. Lascio andare tutto, anche
l’aria. Mi abbandono con un grande atto di fiducia, con la certezza che l’aria
che lascio ritornerà. Quando respiriamo così, diventiamo un re che si
verticalizza e una regina che si abbandona alla terra. Alterniamo in un ritmo
armonico la retta tensione alla retta distensione, la tensione verso gli
ideali, e il ritorno alle piccole cose quotidiane, al qui ed ora. Questo semplice
atto di stare seduti con la consapevolezza della postura verticale, questa coscienza di inspirare sorridendo in gratitudine e di espirare in un abbandono fiducioso con il tempo è generativo di salute fisica emotiva mentale e
spirituale. Nel momento in cui siamo seduti così stiamo già guarendo. Anche se
siamo ancora pieni di contrazioni e pensieri tossici, di vecchie emozioni,
vecchie immagini. Durante l’espirazione noi stiamo lasciando andare senza
attaccamento tutto, anche gli attaccamenti al nostro passato, alle nostre
abitudini, ai nostri pensieri ripetuti infinite volte, non più pensieri
pensanti ma pensieri vecchi, già pensati, utili soltanto a un tempo che ormai non c’è.
Lasciamo andare le vecchie cose che non servono più. Stiamo aprendo tutte le
finestre e le porte per far uscire quegli oggetti del passato che
ingombrano la nostra casa interiore. Stiamo prendendoci cura di noi stessi come
una madre che si prende cura dei figli senza mai essere stanca. L’io materno si
prende cura di ciò che è più vicino, le sensazioni del corpo, le emozioni, i
pensieri. Poi c’è l’io paterno che fa da ponte tra l’interno e l’esterno; ci fa
crescere verso la comunità, ci fa uscire dall’attaccamento alla madre, a ciò che è noto e ci apre
alla socialità esterna alla famiglia, all'ignoto. Verticalizzandoci con l’inspiro
rinforziamo l’io paterno, abbandonandoci con l’espiro, rinforziamo l’io
materno. Pian piano i nostri occhi si ammorbidiscono, diventano liquidi, i
muscoli oculari, che sono tra i muscoli più attivi del corpo, hanno bisogno di
riposarsi e questo avviene quando ci abbandoniamo. Se gli occhi non si lasciano
andare diventano duri e poi freddi e grigi e non c’è niente di bello per occhi
così, il mondo è brutto. Abbiamo bisogno di occhi morbidi, che sanno adattarsi
al contesto, flessibili, freschi. Solo occhi così sanno entrare in risonanza
con il mondo circostante, sanno empatizzare con ciò che c’è intorno. Questa è
una educazione dei sensi. Noi contattiamo il mondo esterno attraverso i nostri
sensi. Se i sensi sono atrofizzati o irrigiditi, questa è l’immagine del mondo
che ci danno, un mondo freddo, grigio, duro, competitivo, violento. Quando gli
occhi si fanno morbidi, rilassati distesi e nello stesso tempo acuti, capaci di
guardare lontano e vicino; quando sanno unire queste qualità femminili della
morbidezza insieme con le qualità maschili della direzionalità, dell’intenzione,
della concentrazione, allora i nostri occhi diventano gli occhi dell’anima... Possiamo
diventare chi siamo se siamo coscienti di abitare dentro un corpo fatto di
sensi e sensazioni; se ci prendiamo cura di questa dimensione terrena di sensi
e sensazioni come di un viatico per il cielo, per l’espansione della coscienza.
Mi abbandono alla terra, trovo rifugio e ristoro nel femminile che mi fa
sentire accolto; riprendo forza e riparto verso l’alto con un retto sforzo.
Tutto questo significa stare seduti, tutt’altro che qualcosa di passivo. Col
tempo questa pratica diventa sempre più piacevole al livello fisico. A livello emotivo
dona felicità, a livello mentale lucidità del pensiero. E ci dà gioia a livello
spirituale via via che il cuore abbandonando le contrazioni, le tensioni, le
resistenze finalmente si apre al mondo e a noi stessi. Quando questa pratica
diventa il nostro rifugio dove ci ritiriamo per provare piacere, felicità,
chiarezza e gioia incondizionati, non dipendenti da nulla, allora da quel
momento possiamo dire di essere sovrani, re e regine e nello stesso tempo
possiamo dire di essere genitori, capaci di generare, di creare cose nuove,
forme nuove, non solo biologicamente ma a livello biologico, fisico, energetico,
emozionale, psichico, intellettivo e spirituale. Quando questa pratica si diffonderà
di più, quando cominceremo a provare ristoro nel farla, allora il mondo attorno
a noi cambierà. La pratica è il gesto di adattarsi alla curva vitale che, come
le onde del mare, alterna tensione, picchi, verticalità a distensione, rilascio,
abbandono, non controllo, lascio andare, basta. Distacco. Quando siamo dentro
la logica della vita allora stiamo nella verità. Non diciamo la verità ma siamo
veri e possiamo vedere la verità fuori di noi, possiamo vedere l’armonia, la
bellezza in ogni persona. E quindi
sappiamo distinguere con chiarezza, l’anima di una persona, da ciò che è
semplicemente falso, fasullo, contrario alla logica della vita. Possiamo vedere
le sue difese egoiche senza farle nostre, senza difenderci a nostra volta. Possiamo provare
compassione verso le difese dei molteplici io che nuotano nella paura, nella
collera, nella dipendenza, nella reattività, nel risentimento di una tristezza
infinita di una vita mal condotta.