mercoledì 27 febbraio 2019

Brani di Karl Marx tratti da Il corpo, di Umberto Galimberti (Milano 2002)


Il prezzo, ossia la forma di denaro delle merci, è, come la forma valore in generale, una forma distinta dalla forma corporea tangibilmente reale, quindi è solo forma ideale, ossia rappresentata.
(Il capitale, Libro I, cap. 3)

Da questo momento il valore non sarà più deciso soltanto nel registro dell’idealità ma addirittura in quello della spiritualità, perché, là dove il valore di una merce, la sua essenza, non coincide più col suo corpo, ogni merce si troverà a esprimere l’antica opposizione spiritualista tra un’anima e un corpo. […] Queste analogie fra teologia ed economia non sfuggono a Marx:

A prima vista una merce sembra una cosa triviale e ovvia. Dalla sua analisi risulta invece che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezze metafisiche e capricci teologici. Finché è valore d’uso non c’è nulla di miterioso in essa, sia che la si consideri dal punto di vista che essa soddisfa con le sue qualità bisogni umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto del lavoro umano. Così, per esempio, quando si fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata, ciò non di meno il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù e sgomitola dalla sua testa di legno grilli molto più mirabili che se cominciasse a ballare. Dunque, il carattere mistico della merce non sorge dal valore d’uso […] ma dal valore di scambio, a cui il tavolo accede quando assume la forma di merce. […] Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili.
(Il capitale, Libro I, cap. 1)

Esiste infatti un sistema rigoroso della metafora che, attraverso il lavoro delle equivalenze e sostituzioni, porta su registri che sono sempre più distanti dal corpo, fino a farlo dimenticare sostituendolo. L’analisi del valore, che comincia nel momento in cui interviene un equivalente, inizia con una sostituzione, dove il corpo della cosa, differente nella sua materialità dal corpo delle altre cose, si perde nel valore in-differente dell’oro o del denaro che lo sostituisce. Inoltre, per acquisire la forma dell’oro o del denaro, una cosa non deve essere consumata, ma scambiata, e lo scambio può intervenire solo se l’uso della cosa viene differito, indefinitamente differito, per cui si può dire che il valore nasce innanzitutto dalla negazione della fruizione della cosa. […] Al rapporto naturale e originario che lega l’uomo all’uso dei suoi beni e il corpo alla soddisfazione dei suoi bisogni, l’economia sostituisce quel valore di scambio che separa i due termini […] per ridurre il corpo all’equivalente generale del lavoro, e il bene all’equivalente generale dell’oro. Al centro del sistema economico c’è dunque una categoria morale e religiosa: la rinuncia non all’eccedenza dei beni, come nel potlàc dei primitivi, ma alla vita del corpo per l’accumulo dei beni.

L’economia, nonostante il suo aspetto mondano e voluttuario, è una scienza realmente morale, la più morale delle scienze, perché ha come suo dogma la rinuncia a se stessi, la rinuncia alla vita e a tutti i bisogni umani. Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all’osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro che né i tarli né la polvere possono consumare, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli il tuo essere estraniato. Tutto ciò che l’economia ti porta via di vita e di umanità, te lo restituisce in denaro e ricchezza; e tutto ciò che tu non puoi, può il tuo denaro. Esso può mangiare, bere, andare a teatro e al ballo, se la intende con l’arte, con la cultura, con le curiosità storiche, col potere politico, può viaggiare; può insomma impadronirsi per te di tutto quanto; può tutto comprare: esso è il vero e proprio potere. Ma pur essendo tutto questo, non è in grado di produrre null’altro che se stesso, né di comprar nulla fuor che se stesso, perché tutto il resto è ormai suo schiavo. E se io ho il padrone ho anche il suo servo, e non ho bisogno del suo servo. Così tutte le passioni e tutte le attività devono ridursi all’avidità di denaro. Chi lavora può aver soltanto quanto basta per voler vivere; e può voler vivere soltanto per avere.
(Manoscritti economico-filosofici del 1844)

Sostituito l’essere con l’avere, il mondo col possesso del mondo, il corpo non ha più terra da abitare, i suoi sensi non hanno più senso. Il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, il toccare, in una parola la vita del corpo non è possibile se non si ha il denaro per vedere, udire, odorare, gustare, toccare. Scrive Marx:

Tutti i sensi fisici e spirituali sono stati sostituiti dalla semplice alienazione di essi tutti: dal senso dell’avere.
(Manoscritti economico-filosofici del 1844)
Io sono ciò che ho, e se non ho non sono. Se ho denaro i miei bisogni possono essere soddisfatti e i miei desideri realizzati, se non ho denaro non solo le mie rappresentazioni non diventano realtà, ma la stessa realtà rimane pura rappresentazione. Qui è l’alienazione originaria […] perché quando il corpo è piegato nel lavoro per la produzione del valore deve darsi tutto senza alcuna riserva, facendo di sé quel dono totale che non può essere oggetto di nessuno scambio […perché è] l’ ”altro” la dimensione [sociale] richiesta perché si instauri comunanza di valore. (pp.103-7)
[…]I primitivi scongiuravano questa eventualità con il potlàc dei beni, con la distruzione sontuosa di immense ricchezze che, accumulate, avrebbero acquistato quel valore che essi temevano come “la parte maledetta”, perché avrebbe sbilanciato i rapporti sociali a favore di chi possedeva. (p.20)
[…] Le comunità arcaiche sono il luogo della circolazione dei simboli che si scambiano tra loro senza riflettersi in un Significante supremo […]. La circolazione dei simboli nelle società primitive è libera e fluttuante e non ha nulla in comune con la rigida circolazione dei segni all’interno di un codice, com’è nell’ordine delle nostre società, dove i corpi sono sottratti all’ambivalenza dei loro possibili significati, per essere consegnati all’identità di gruppo a cui devono as-similiarsi e uni-formarsi nella rimozione delle differenze. […] In questo regime i segni acquistano serietà e i corpi diventano solo lo spazio della loro scrittura. Il loro linguaggio cessa di essere “espressivo” per diventare “indicativo” del Significante supremo. (p.17-18).
Contro questo inganno il corpo rimette in gioco la sua natura polisemica, rifiutandosi di offrirsi all’economia politica esclusivamente come forza-lavoro, all’economia libidica esclusivamente come fonte di piacere, all’economia medica come organismo da sanare, all’economia religiosa come carne da redimere, all’economia dei segni come supporto di significazioni. (p.25)
L’economia politica è nata il giorno in cui si è incominciato ad accumulare l’eccedenza della produzione che i primitivi distruggevano nel potlàc per scongiurare quella che essi ritenevano fosse la parte maledetta, ossia quei beni che, sottratti allo scambio simbolico, perdevano la loro ambivalenza per accumulare progressivamente valore. Dallo scambio simbolico si passò al valore di scambio, dalla distruzione dei beni alla loro sostituzione, che non poteva avvenire se non sottintendendo la nozione di “valore”, senza di cui sarebbe stato impossibile paragonare due beni tra loro per poterli scambiare “senza perdita”. Nella nozione di valore è quindi implicito il principio platonico dell’unità del molteplice, dell’equivalente generale, che sottrae tutte le cose alla loro naturale ambivalenza. (pp.101-102)

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