venerdì 10 settembre 2010

La "memoria involontaria" in Proust.

La memoria involontaria non trova la ragion d’essere della sua felicità nel recupero di un incontro vissuto nel passato al quale virtualmente si torna come nelle meravigliose finzioni della rimembranza leopardiana. Essa non muove dalla ricerca di una felicità perduta quanto da quella di un tempo andato proprio perché vissuto nella disattenzione. Un tempo di cui la memoria involontaria ci risarcisce come tappa apposta dopo sul buco creatosi nel tessuto della vita per via di una delle tante fughe di essa. E proprio quando al passato non si pensava più, proprio in questo intervallo di leggerezza datoci dal beato dimenticare, in questo frangente di plasticità affettiva e disponibilità siamo nella condizione di poterci far stanare dal tempo e lasciarlo irrompere in noi come quella piena altrimenti paventata, come quel naufragio nel mare delle percezioni che, grazie alle nostre mutate condizioni interiori, può farsi dolce. Ma cosa è mutato in noi per aver consentito questo? Una deviazione che, staccatasi dal nucleo degli accadimenti passati, ha virato verso gli abissi del presente.

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